Un altro vino naturale è possibile!

Un altro vino naturale è possibile!

Decomposti e decomposte Un altro vino naturale è possibile! anzi è auspicabile. Nell’ultimo anno il fato e il cosmo mi hanno inviato molti segnali purtroppo non ho saputo vedere la fiamma del futuro fino a che come una falena non mi stavo per immolare contro! Ma da buoni storyteller facciamo un passio indietro e andiamo con ordine. Da quando sono tornato a vivere a Napoli e ho avviato i miei progetti, un vermetto mi scavava nel cervello o se preferite un centopiede gironzolava li dentro: c’era qualcosa che non mi tornava ogni volta che bevevo uno dei miei vini naturali: una dissonanza. Non capivo cosa fosse, ma fede o non fede, qualcosa non andava.

Il primo scazzo all’inizio nacque dall’aver acchiappato in giro per più posti della Campania dei vini Orange wine completamente ossidati, neri nel bicchiere, morti e imbevibili a meno che non si volesse bere un vino completamente nella direzione di un Madeira. Se anche in passato mi erano capitate qualche bottiglia proprio non informa, mai mi era capitato però qualcosa del genere. Io, come pure molti di voi, sono uno stronzo che a volte beve con le ideologie e non col palato, conseguentemente c’ho impiegato molto e più di una bottiglia per convincermi che quel lotto \ prima mandata di vini naturali in campania (2008 \ 2010) era stata conservata dai ristoratori in cui mi ero imbattuto semplicemente malissimo. Naturalmente sto facendo di tutta l’erba un cann… ehm fascio, però qualcosa non andava e nella mia capoccia si accese una lampadina…. nuovamente.

Successivamente, nei mesi invernali, mentre studiavo e discorrevo, mi è capitato di bere una sequenza di macerati sulle bucce, che anche se mi sono piaciuti, era innegabile la loro presenza di volatili e riduzioni a manetta, e mi sono cominciato a domandare: ma è questo il vino che voglio bere? è questo l’unico vino possibile? non è che con troppe ideologie stanno mettendomi un controfagotto nel sedere? serviva di rimettersi in discussione. Continuavo a credere nella mia opinione sulle soglie di tolleranza e percezione, però dalla convinzione che gli atri non capissero un cazzo, ero passato alla convinzione che a me stava sfuggendo qualcosa .

Un altro vino naturale è possibile!

Quello che è avvenuto questa primavera è una specie di illuminazione sulla via di Damasco, le idee che vi ho raccontato a lungo mi giravano in testa, ma erano fumose, sfocatemi serviva un grillo parlante con cui confrontarmi e per mia fortuna più che un grillo, ho trovato uno sciame di locuste che mi hanno spolpato e ricostruito. I primi due in realtà sono due podcast: “Guarda mamma senza solfiti” e ” Italian wine drunkposting”. due podcast che non centrano nulla l’uno con latro, anzi che probabilmente si stanno anche un po sul cazzo a vicenda poiché uno parla di vino naturale e uno parla di vino convenzionale. Queste due realtà fanno bellissimi approfondimenti e nonostante il fatto che non facciano molto per risultare simpatici conoscono il mondo del vino e In realtà ne parlano molto bene. Se anche gli atteggiamenti di entrambi sono molto veicolati dalle loro diverse ideologie , in entrambi i format le parole difetti, puzze e pulizie ricorrevano e si rincorrevano sempre e comunque: il paradosso è che sia i permutatori di Italian che i venetivinnaturisti di senza solfiti inseguono spasmodicamente elementi comuni.

  • Territorialità: anche se entrambi sono contrari alla visione dell’altro
  • Tipicità: anche se entrambi sono contrari alla visione dell’altro.
  • Agilità: anche se entrambi sono contrari alla visione dell’altro
  • Pulizia: e su questo argomento stranamente sono d’accordo entrambi.

Lentamente nella mia capoccia sorgeva questo pensiero: “Ma volessi vedere che noi italiani, produttori, blogger, consumatori, ristoratori, enoteca e distributori non ci abbiamo capito un cazzo?”

Un altro vino naturale è possibile

Questa domanda mi assillava mentre assaggiavo a manetta, commettendo però un errore. Sempre restando legato all’Italia e ai vini che mi piacevano: Quindi grosse macerazioni anfore etcc. Solo che questo errore non era mio inteso come mia ignoranza, ma perché noi in Italia, per lungo tempo siamo rimasti ancorati a una visioni mono camerale del vino naturale, in cui tutta Italia era Gorizia, tutta Italia era Piacenza, Tutta Italia era Georgia. Stavamo (e stiamo) commettendo l’errore di combattere i protocolli vincolanti dei lieviti selezionati e dei coadiuvanti enologici creando nuovi protocolli in cui Tutti i vitigni sono trattati come se fossero di fatto uguali.

Restando in Campania, esempi di vini con grandi macerazioni ormai ce ne sono abbastanza; alcuni di questi sono molto buoni e ben si sposano con la pratica in questione: basta guardare il vitigno Fiano d’Avellino fatto a Callitri o ad Ariano irpino. Ma tutti i vitigni Campani sono adatti ad essere macerati? assolutamente no, e difatti il rischio è che ne venga fuori un vino senza agilità; una falangina immobile, o un greco cristallizzato nella sua estrazione. Questo però non vuol dire che la pratica della fermentazione spontanea sia sbagliata, anzi! però questa pratica va coadiuvata alla ricerca di equilibrio, territorialità, agilità di beva e assoluta corrispondenza luogo vitigno.

Un altro vino naturale è possibile!

Mentre ragionavo su tutto questo che vi dicevo, non avevo ancora prove empiriche se non qualche singolo vino che però da solo non bastava a confermare le mie teorie.Discutevo con tante persone spesso di schieramento diverso ma il mio filo era sempre ingarbugliato. Questo fino a che un amico: Gianluca Lo Sapio, distributore campano di vino, che lui definisce Artigianale. Gianluca beve completamente diverso da me, non capita quasi mia che i miei vini gli piacciano, anzi spesso gli stanno pure sul cazzo: odia le puzze e le volatili. Odia i difetti, tutti e il più grave per lui è il mutismo ovvero quei vini che non raccontano nulla.

Gianluca ha due distribuzioni accomunate dallo stesso intento : the Great Gig Inn the wine e Narbit. Non è questo un post pubblicitario, ma mia erviva nominarlo per spigarvi l’approccio. Narbit è un acronimo

Un altro vino naturale è possibile
  • N come Naturel: vino concepito senza alcuna correzione chimica, né manomissione da parte dell’uomo. Vini che seguono l’andamento della natura, in maniera spontanea: l’unico cambiamento è frutto delle annate.
  • A come Artisan: la mano di colui che tira fuori il meglio da ciò che la natura ci dona. Servono le braccia, le lune, volontà e pazienza.
  • R come Rural: senza ritocchi, il prodotto si presenta a noi genuino, vivo, con qualche sfumatura che spesso regala un vino grezzo, appena stappato. L’ossigeno e il tempo, ci trascinano verso un vino “rurale”, bello come la natura vuole.
  • B come Biodynamique: Zolfo e Rame, sono gli unici ingredienti per salvaguardare la vigna, fino alla raccolta.
  • I come Identitè. attraverso olfatto e gusto, riusciamo a percepire un vino autentico, che dà risalto al vitigno; attraverso il bicchiere, giunge l’identità del vigneron e l’amore per la propria terra.
  • T come Terroir: è la chiave di questo progetto. Il rispetto per la zona di appartenenza, l’analisi delle microzone, vini che rispecchiano a pieno le caratteristiche pedo-geologiche del territorio di provenienza.

Bene con questa persona negli ultimi mesi era nata l’idea di andare a una manifestazione di vino che si chiama Indigenes a Perpignan: quindi Francia confine con la Spagna in quell’immensa regione sconosciuta che in Italia chiamiamo Linguedoc Rousilion ma che invece i francesi dividono in tante sotto aree.

Un altro vino naturale è possibile!

Perdonatemi la lungaggine ma dovevo spiegarvi antefatto, in Francia ho visitato due produttori naturali, visto le loro vigne e assaggiato i loro vini.

Per farla brevissima sono vini completamente diversi dai nostri: molto ma molto più ragionati in base al luogo e alla bevibilità.Ma le sorprese vere sono arrivate il giorno dopo visitando Indigenes.

In questa manifestazione al confine francese con la Spagna erano presenti produttori sia della catalogna del nord quindi francese ( che sarebbe per noi il Rousilion ma per loro no è catalogna del nord) catalogna del sud quindi spagnoli e qualche produttore della Linguadoca per un totale di 190 produttori. Quello che ho incontrato è un modo diverso di intendere il vino naturale, e Alleluia molto più interessante, queste le mie impressioni per delineare poi anche il tipo di vino naturale che spero riusciremo a fare.

  • C’erano pochissimi vini Orange: la macerazione con le bucce era più presente nei produttori spagnoli piuttosto che in quelli francesi. Nonostante ciò salvo tre o quattro produttori spagnoli che maceravano la qualunque la maggior parte si limitava ad un unico vino macerato.
  • Per la maggior parte coltivavano tutti La Rosa degli stessi dieci vitigni: tre bianchi (Macabeu, Muscat a petit grain, Moscato d’Alessandria, Grenache Gris, Xarello per le uve a bacca bianca e Grenache Noir, Mourvèdre e Carignan, Syrah, Melot ) questo ti permetteva assaggiando in maniera libera comunque di avere la defetta declinazione di un intero territorio. Quando assaggi duecento MAcabeu oltre a iniziare a capire il vitigno, senti le differenze da produttore a produttore e a misura maggiore se si tende a non macerarlo le sfumature diventano infinite.
  • Petnat ben rappresentati ma non erano vinelli tanto per passare l’estate. Le aziende che li producevano tiravano fuori dei prodotti assoutamente convincenti.
  • Volatile e riduzione: questa è la parte più interessante del discorso. Puzze ne ho sentite poche, molto poche, cerano sopratutto nei produttori spagnoli, ma comunque erano un numero veramente esiguo. Nessuno li ha voluto vendermelo come territorialità, il difetto quando presente veniva riconosciuto e analizzato per quello che era ovvero un elemento del vino. Un produttore aveva portato una bottiglia che aveva un po di “Topolino” non etichettata, proprio per discuterne e ragionare se fosse o meno coerente con i vini presenti. Qualche volatile ogni tanto si percepiva, non erano mai invalidanti e generalmente erano così ben integrate da poter essere considerati coerente col vino. La cosa interessante era il ridotto, i francesi usano la riduzione per dare stabilità al vino, piuttosto che alte solfitazioni, e quindi nella stragrande maggioranza dei casi le bottiglie andavano aperte e ossigenate una decina di minuti prima di poter essere bevute.
  • I vini rossi freddi! Proprio perché fra i loro vitigni c’è il Carignan che da origine a vini dalla potenza e tannica pari ad una sciabolata dietro la conocchia; assieme a questi vini tosti ed iper tannici quasi tutti sviluppavano anche un rosso da uva Grenache di bassa gradazione e con brevissime macerazioni, spesso senza neppure la pigiatura. Questo per poter fare dei rossi acidi e freschi da bere a “Garganella” quindi nuovamente un vino agile che si contrappone alle lunghe macerazioni sulle bucce.
  • Insieme alla manifestazione vinicola, c’era anche una grandissima festa in cui ostriche, braci, bimbi felici, dj soul, gente gente gente, aceti, prodotti bio hanno contribuito a costruire una legibilità del territorio e del luogo oltre il solo vino, facendoci poi sentire tutti un branco di fottuti indigeni!

Un altro vino naturale è possibile!

Sono tornato dalla Francia con l’assoluta certezza che in qualche maniera la nostra ricerca del mondo del naturale può avere in se un enorme problema: i francesi non vogliono fare i cavalieri elle sacre bucce, vogliono fare vini agili piacevoli, unici, ben vendibili, non replicabili in cui la bevuta sia divertente e non un mero atto intellettualizzante. Alcuni vini base di moscato di Alessandria erano iper macerati e si avvicinavano al nostro superbo Ageno della Stoppa (vino che amerò sempre) ma per la maggior parte i vini erano affrontabili da chiunque. In queste settimane sto riassaggiando i miei capisaldi, e seppur sono vini che comunque mi piacciono, sto notando una diversa impostazione mentale come a dirvi nella mia testa si sta completando il puzzle. L’ultimo tassello è andato a posto parlando, a Napoli dal Puteca vino naturale.

Ieri domenica 29 Giugno, abbiamo bevuto: un vino ancestrale fatto da Movia in Slovenia, lo Chardonnay di Domaine Labet (Jura) e un Aglianico e Piedirosso fatto a Taurasi. Questi vini li abbiamo bevuti in compagnia di Giancarlo Moschetti: professore ordinario microbiologia enologica e produttore del terzo vino. Giancarlo ha sviluppato una teoria interessante ovvero che il grande problema non è stato tanto l’uso dei lieviti selezionati (o almeno non solo) ma quanto l’aver selezionato oltre 400 ceppi ma che lavorano come se fossero un unico ceppo. Il singolo ceppo selezionato inoculato significa che nel mosto c’è un unico solista a fare progredire la fermentazione ; mentre la spontanea è una collaborazione di 12 14 ceppi di sacch cerev che portano avanti la fermentazione. Inoltre aggiungendo un solo ceppo di saccharomyces all’inizio della fermentazione si evita La colonizzazione di una serie di altre specie che portano interessanti caratteristiche di qualità quali produzioni di polisaccaridi beta glucosidasi per sprigionare gli aromi . Detto in parole povere i ceppi selezionati anche se danno stabilità fermentativa hanno appiattito tutti i vini e le loro palette aromatiche date dalla fermentazione .

Successivamente il movimento dei vini naturali ha iniziato a vinificare con lunghe macerazioni (bianchi e rossi) quindi senza poter comprendere veramente il gusto e il profumo dei veri varietali, dei vitigni presi di per essi. Abbiamo finito per fare solo vini pesanti, seduti e poco agili spesso litigando con i difetti presenti e non capendo invece che quelli sono elementi che reagiscono alle nostre soglie di tolleranza e percezione (viva dio quando lo dicevo io ero un coglione). Purtroppo se ci fossilizziamo in vini così estratti così tirati via non otterremo mai molto; il nostro scopo oggi dovrebbe essere riuscire a realizzare vini interessanti e naturali a 360 gradi: quindi vini macerati e non, rifermentati e non, che vanno a costruire il mosaico delle infinite combinazioni vino terra che da noi è complicata dall’esistenza di centinaia di vitigni diversi.

Allontaniamoci dai difetti, ma integriamoli nella nostra grammatica; accettiamo che molto spesso sono un elemento necessario in piccole dosi; allontaniamoci dai vini granitici e ansiamo a ricercare l’agilità delle acidità, il calore del meridione, la legibilità dei vini che ora posso dirlo per certo, quando nascono da fermentazioni naturali sono ancora più leggibili e dialogici. Ed infine visto che a molti stanno sulle balle , il miglior modo per contrastare le pagine di shit posting e di meme è quello di entrare nel gioco: prendiamo sul serio solo il vino!

Ps: e comunque chi mi parla male di Ageno gli mangio l’animale domestico con un piatto di fave e un buona Malavsia macerata sulle bucce!

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7 commenti su “Un altro vino naturale è possibile!

  1. Buongiorno, vorrei chiedere una precisazione. Il Carignan mi è noto come Bovale di Sardegnae Carignano del Sulcis. mentre il Cannonau come Garnacha. Se le mie informazioni fossero scorrette la prego di correggermi.
    Cordiali saluti
    Lorenzo Golini

    1. No le sue informazioni sono corrette relativamente alla nostra penisola, le stesse uve prendono nomi lievemente diversi in base a dove vengono coltivate. In quella fiera infatti in base al padiglione avevano pronuncia lievemente diverse . Di base però sono quelle sei uve che sono storicamente patrimonio di quel ansa. Di mediterraneo

      1. Molte grazie, ottimo articolo, che devo rileggere con calma.
        Grazie per la segnalazione dei due podcast.
        Occhio che “Calitri” ha una T sola.

  2. Complimenti hai fatto una analisi precisa dello stile di produzione dei francesi in particolare del sud .. faccio importazione in Francia da un po’ di tempo e confermo che la ricerca è soprattutto nella facilità di beva dei vini..

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