Dimmi cosa bevi e ti dirò chi sei!

Dimmi cosa bevi e ti dirò chi sei!

Ho sempre simpatizzato per gli zombie, hanno un che di rivoluzionario. Rappresentano il popolo solitamente senza idee autonome che a un certo punto, stanco dei soprusi, si ribella.

George Andrew Romero

Sarà per questo che Zombiwine scrive senza rispettare la punteggiatura?

La scusa che usa più spesso per giustificare l’accuratezza inesistente dei suoi testi è che non ci vede, il che è vero: non bastavano una caterva di problemi mentali a rendere la sua vita uno schifo, si sono aggiunti anche problematiche di natura medica. A pensarci bene, non sono state quest’ultime a renderlo uno zombi (senza manco la “e” e il dubbio rimane: è ribellione, insidia o perversione a dettare le sue scelte para glottologiche?). Eh si, che poi lui ha una tendenza gutturale molto marcata, quando parla pare abbia una mutanda in gola. Non andrò oltre in merito, potrebbe essere un’immagine troppo cruda per i due lettori di questo articolo (sua madre e la mia!).

Che poi che cazzo di incursione è? Qui si parla di vino! E tu, megera di una Pau, che ci fai qui? Dimmi cosa bevi e ti dirò chi sei!

Cara voce fuori campo, non sono cazzi tua – consentimi la licenza poetica ma qui siamo in un campo franco, il linguaggio aulico dovrebbe essere solo un inutile orpello nel mondo gutturale dello zombi senza e! Non avevo un ciufolo da fare e sono entrata segretamente nel sito di Zombetto avvinazzato. La pagina era bianca e fuori pioveva, così eccomi qui a sputtanare l’ininfluenzer più ininfluenzer di sempre. Dai, che non vedi l’ora di veder il re non morto nudo.

Ah, e pure c’hai ragione: qualche giorno fa, per bersi un Radikon, ci ha piazzato una bella foto a torso nudo e lo sguardo da invasato. E ovviamente l’ho lasciato fare perché era da tempi immemori che voleva sottoporre al pubblico le sue carni decomposte. Sotto certi aspetti, lui sottopone le sue interiora marce al pubblico da molto tempo e io sono la vera responsabile, me tapina! La storia la sai: problemi cardiaci, operazioni, cervello fuso, io gli propongo una via di fuga nel suo stile – poco impegnativo e pieno di presunzione e voyeurismo, condito con molto ego e un pizzico di Asperger. Et voilà, il danno è fatto: approda su Instagram. Addio vita sociale, benvenuta vita social.

Baccanali di hashtag e bottiglie da raccontare. Ogni santo giorno. Come un’ossessione. Ma lui vive di ossessioni. Pensa che quando l’ho conosciuto faceva cinema e aveva il chiodo fisso per il tabacco, il cibo, la birra.

Ogni volta che ci incontravamo si andava per coloniali, enoteche, mercati gourmet “perché per me la ristorazione e il cibo sono una cosa seria” chiosava tutte le volte che mi toccava sorbire le sue conversazioni con i poveri ristoratori di turno.

Una sera ho chiesto a mia madre se fosse normale che invece di limonare questo mi portasse per mercati e enoteche. Mia madre fece spallucce (no, la verità è che mi guardò preoccupata e disse “pensaci bene prima di continuare la storia con questo pazzo!”).

Per ore, mi faceva girare nelle enoteche e io che non capivo un ciufolo di vino mi aggrappavo all’unica cosa che conoscevo: l’immagine, quella delle etichette. Sono cresciuta con il mito del Barolo ma fino ai 26 anni non ho bevuto una sola goccia di vino (tranne quello fatto con l’uva fragola dal contadino sotto casa, ‘On Sebastiano che aveva quattro tatuaggi sul braccio e un occhio glauco.

Per la ricetta del vino o altri dettagli sull’uva fragola potete contattarmi in pvt). Il Barolo, quello vero l’ho conosciuto per il tramite di Zombi: è stato l’avvocato Nicolas a farmi degustare il liquido più indimenticabile di sempre. L’avvocato sa molte cose, troppe, dello scibile umano.

A cominciare dalla presunzione di innocenza e dalla presunzione di quel ciuccio di suo figlio (già, Zombi!). Ha scritto due enormi tomi sui grandi vini che ha degustato nella sua vita e, a differenza del figlio decomposto, ha una generosità assoluta: generosamente mi ha sempre fatto bere dei capisaldi del mondo del vino e quel Barolo offertomi intorno a una tavola meravigliosamente allestita per il 26 dicembre 2017, non lo dimenticherò mai. Prepotente sin dalla prima goccia versata nel bicchiere, liquido denso dal color granato, dolci e seducenti ciliegie sotto spirito che serbo nei ricordi delle mie papille gustative, poi un’onda di viola che mi riportò immediatamente a Violetta Valery, “un di, felice, eterea” come quella bevuta dal finale di noce moscata e sorriso beffardo.

Dimmi cosa bevi e ti dirò chi sei

Il padre dello Zombi

Avrei voluto essere sincera: io un Barolo non me lo sono mai bevuto, sono una storica dell’arte disoccupata che vorrebbe darsi alla campagna perché si è stufata del superfluo.

Però l’ho sempre sognato, un calice di Barolo!

Oggi ho un sogno: andare nelle Langhe e sentir la terra di Cavour sotto ai piedi. Chiedere ai suoi custodi come si fa quel nettare e come conciliare la tradizione, grande, con il presente e con il futuro .

Futuro tanto assurdo che stiamo sopportando, che ci ha trasformati in decomposti con ossessioni, che ci lascia la porta serrata del museo e il ristoratore sotto la pioggia.

Oggi ho un sogno: sfrecciare con la bici a Grinzane Cavour mentre Zombi fa l’ininfluenzer e rischia di rovinare tra i cespugli perché in bici ha imparato ad andarci con me, in Olanda, alla tenera età di 35 anni! Daje zombi, ce la puoi fare a resistere al pubblico sputtanamento dei tuoi limiti. Ne volete qualche aneddoto?

Dimmi cosa bevi e ti dirò chi sei.

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